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Antibiotici: infezione da profitto e mercato

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Antibiotici: infezione da profitto e mercato

Non è certo una novità: da tempo si sentono lanciare allarmi sugli antibiotici, sulla loro progressiva perdita di efficacia man mano che i processi di selezione naturale fanno crescere le resistenze batteriche e da altrettanto tempo assistiamo alla caduta nel vuoto dei segnali di pericolo, come se non ci riguardassero da vicino, come se fosse il dispiegarsi dell’ennesimo catastrofismo. Anzi a dire la verità nello “spettacolo” si coglie molto di più, ossia il tentativo di colpevolizzare l’uomo della strada per un uso improprio di questi farmaci al fine di aumentare i prezzi e ridurre le prestazioni della sanità pubblica facendo leva su necessità vere o presunte della pubblica salute.

Si tratta di un tema interessante, specie nel momento in cui l’impoverimento generalizzato e lo sfascio del welfare sembrano cominciare ad erodere l’aspettativa di vita, perché mette in luce comportamenti presenti e futuri di  un settore farmacologico totalmente privatizzato e lasciato esclusivamente alle logiche del profitto. Nel caso degli antibiotici usciamo dall’ovvio settore delle malattie rare o non sufficientemente remunerative per inoltrarci nel territorio dei farmaci per così dire mainstream, le armi più affilate contro infezioni ed epidemie e va detto che se il loro uso esagerato o inutile (senza contare il vero e proprio abuso in zootecnia) può accelerare i fenomeni di resistenza batterica, è anche vero che il fenomeno insorgerebbe comunque, visto che i microorganismi patogeni sono soggetti come tutti gli altri esseri viventi all’azione della selezione naturale.

Non sono certo un batteriologo, ma credo che inserendo in una apposita equazione la sensibilità di una popolazione batterica a un determinato farmaco, il ritmo di riproduzione della stessa, la sua capacità di contagio e di variabilità genetica, il numero di antigeni presenti nella popolazione, la gravità della malattia, i tempi della sua riproposizione, si possa calcolare con buona approssimazione il periodo di efficacia dell’antibiotico e il suo “declino”. Non so se questi calcoli vengano fatti dalle multinazionali della farmaceutica per prevedere i profitti a lungo termine, ma il ragionamento ci porta a scoprire l’essenza di questo tipo di armi sanitarie che non agiscono sull’organismo, ma sui suoi aggressori: esso ha bisogno di un continuo rinnovamento per poter essere efficace. La ricerca sugli antibiotici ha la stessa logica del rapporto fra predatori e prede, entrambi si devono coevolvere. Detto in soldoni bisogna che ogni certo numero di anni, diversi ovviamente a seconda dei microorganismi e delle malattie che causano e della loro incidenza, gli antibiotici vengano rinnovati, si potenzino i vecchi e se ne scoprano di nuovi.

Ma questo costa, impegna capitali, rischia di intaccare le rendite degli azionisti e per di più la grande diffusione delle patologie cui devono porre rimedio rende difficile praticare i prezzi stratosferici dei farmaci oncologici dove la logica dominante è esattamente contraria: si tolgono dal commercio le vecchie medicine meno costose, ma di efficacia intatta per lanciarne di nuove, non si sa se e quanto effettivamente più utili per il paziente, ma certamente un toccasana per i libri contabili delle case farmaceutiche, visto che i prezzi tendono a decuplicare. Insomma a parità di investimento non c’è gara tra un antibiotico e un antitumorale anche perché a livello psicologico il primo è dato per scontato e raramente si rischia la vita per un’infezione, mentre il secondo è spesso l’ultima spiaggia. D’altro canto le resistenze batteriche avanzano con lentezza e a macchia di leopardo, sono evidenti per gli specialisti, ma rimangono sottotraccia per le opinioni pubbliche, anche se il numero delle vittime continua ad aumentare, soprattutto a causa dei superbatteri ospedalieri e la maggiore prudenza nell’uso di questa categoria di farmaci lascia spazio ad altri speculatori, altrettanto cinici, che spacciano a caro prezzo inesistenti antibiotici naturali. Sta di fatto che fin dall’inizio del secolo, vista la poca disponibilità delle multinazionali ad investire (l’ultima classe di antibiotici scoperta risale ai primi degli anni ’80) ci si è risolti ad affrontare il problema praticamente solo dal punto di vista della razionalizzazione dell’uso, salvo in quei campi, come per esempio l’allevamento di bovini, suini e ovini, in particolare negli Usa, cresciuti ad antibiotici al solo scopo di ottenere una crescita precoce, che sono certamente associati all’origine della resistenza di Salmonella. Escherichia Coli ed enterococchi : quando in campo entra il profitto cessa la ragione. Per cui oltre atlantico sono costretti a maneggiare le uova come fossero bombe biologiche mentre la stessa cosa comincia ad accadere da noi ed esploderà con Ttip.

Paradossalmente però proprio un utilizzo più prudente degli antibiotici per uso umano, dunque una previsione di minor guadagno, finisce per allontanare ancora di più le multinazionali del farmaco dalla ricerca di nuovi presidi. In ogni caso il gioco varrà la candela solo dopo che l’emergenza sarà esplosa e i nuovi farmaci potranno essere immessi a prezzi stellari: è un esempio della logica di profitto e di mercato, che ci viene presentata come la migliore possibile. Anzi buona da morire.

Fonte: https://ilsimplicissimus2.wordpress.com/2016/03/16/antibiotici-infezione-da-profitto-e-mercato/



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