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Il conflitto d'interesse e le bufale dell'OMS

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Influenza A, l’eccessivo allarmismo
di chi aveva interessi (economici) in gioco

Le dichiarazioni degli esperti sono state più pesanti rispetto alle fonti ufficiali: soprattutto se chi parlava aveva «conflitti»

La responsabilità di aver “gonfiato” mediaticamente la pandemia da virus influenzale H1N1 del 2009, la cosiddetta “suina”, non va tanto (o soltanto) alle autorità. Se il tono di molti articoli è risultato in quei mesi eccessivamente allarmistico, rispetto alla gravità con cui la malattia effettivamente si stava manifestando sul campo, la colpa è stata soprattutto di molti esperti. I loro conflitti di interessi li hanno infatti spinti a enfatizzare nelle interviste ai giornali la necessità di ricorrere al vaccino o di accumulare scorte di antivirali quando ormai era già evidente che l’andamento dell’infezione non era - fortunatamente - quel che era sembrato nelle primissime settimane, sulla base delle informazioni provenienti dal Messico.

LO STUDIO - È quanto emerge da una ricerca pubblicata online sul Journal of Epidemiology and Community Health, in cui alcuni ricercatori britannici hanno passato al setaccio giornali di diversa natura e posizione politica pubblicati nel Regno Unito tra l’aprile e il luglio 2009, il periodo cioè in cui furono prese le più importanti decisioni nei confronti della pandemia. «Abbiamo selezionato 425 articoli da testate di ogni tipo catalogandoli in base alle fonti citate, alla valutazione di quale fosse il rischio per la popolazione secondo ciascuna fonte e dall’atteggiamento nei confronti di vaccini e farmaci antivirali - spiega Kate Mandeville, del Dipartimento di sviluppo e salute globale della London School of Hygiene and Tropical Medicine, che ha coordinato il lavoro -. Ma poi abbiamo anche esaminato quali potessero essere i conflitti di interesse degli accademici intervistati, secondi solo ai portavoce ministeriali come fonte di informazione, e abbiamo scoperto che il 30 per cento di loro riceveva denaro a vario titolo dalle aziende produttrici di antivirali o vaccini».

CONFLITTI D’INTERESSI - D’altra parte per fare ricerca ormai spesso si deve ricorrere a finanziamenti privati, ed è difficile trovare esperti che riescano a portare avanti il loro lavoro in maniera del tutto indipendente. Il guaio è quando questi legami non vengono esplicitati e condizionano i ricercatori, come infatti è capitato in quel caso: «Solo in tre articoli è stato reso noto ai lettori il conflitto di interessi degli intervistati - prosegue la studiosa -. Quando poi questi esperti si sono espressi sul rischio che la popolazione correva a causa del virus H1N1, in più della metà delle volte la loro valutazione è stata più allarmistica rispetto a quella ufficiale riportata nello stesso articolo, e questo soprattutto quando a parlare erano appunto gli accademici legati all’industria». Ecco perché è importante che questi interessi, quando ci sono, siano messi nero su bianco.

IL PRECEDENTE - A un anno di distanza dalla controversa dichiarazione di pandemia da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, un’inchiesta condotta dal BMJ e dal Bureau of Investigative Journalism aveva già dimostrato che dietro questa decisione c’era l’ombra di grossi interessi economici. Alcuni dei più importanti consulenti dell’autorità internazionale, perfino quello che in prima persona aveva stilato il rapporto sull’uso degli antivirali nella pandemia, erano strettamente legati alle aziende farmaceutiche che ne avrebbero tratto maggior profitto: dai 7 ai 10 miliardi di dollari soltanto per i vaccini, secondo la banca di investimento JP Morgan. Lo scandalo ha contribuito a minare la fiducia del pubblico nei confronti delle autorità sanitarie, tanto che uno studio pubblicato su Eurosurveillance mostra che in Francia l’atteggiamento ostile della popolazione nei confronti dei vaccini in generale è schizzato alle stelle dopo la pandemia da H1N1: se nel 2000 lo condivideva solo l’8,5 per cento dei cittadini, nel 2010 aveva raggiunto oltre il 38 per cento.

IL FUTURO - Eppure si sa che il rischio di una pandemia grave è reale: potrebbe essere provocata dal riassortimento periodico dei virus influenzali o da nuovi agenti infettivi emergenti, ma in ogni caso la diffusione dell’infezione sarebbe oggi molto facilitata dallo scambio di merci e persone tra i continenti, impensabile fino a un secolo fa. Davanti a questa evenienza non ci si può far trovare impreparati, come si rischia di essere proprio per la diffidenza creata nel pubblico dagli eventi del 2009. Per studiare questi fenomeni e cercare di mettere a punto un modello di comunicazione più trasparente ed efficace, rimediando agli errori del passato, la Commissione europea ha quindi finanziato un progetto, chiamato TELL ME (Transparent communication in Epidemics: Learning Lessons from experience, delivering effective Messages, providing Evidence). Perché quella del 2009, che si è rivelata solo una prova generale, ci faccia arrivare più preparati davanti a una possibile futura pandemia, e non disarmati come chi, dopo troppi “al lupo, al lupo!”, ignora ogni segnale di allarme.

* CONFLITTI D’INTERESSE
Roberta Villa è responsabile della diffusione di TELL ME
per Zadig, partner del progetto

20 novembre 2013 (modifica il 20 novembre 2013)
© RIPRODUZIONE RISERVATA



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