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Carenza di vitamina D per 6 bambini su 10. "Troppo tempo chiusi casa, bisogna prendere sole"

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Carenza di vitamina D per 6 bambini su 10. "Troppo tempo chiusi casa, bisogna prendere sole”

L'allarme della Società italiana di pediatria. Si va dalle forme meno gravi al deficit severo. E la tendenza al ribasso riguarda tutti i paesi: un problema globale

di TINA SIMONIELLO

Il 60-70 per cento dei bambini e degli adolescenti italiani è in uno stato di ipovitaminosi D, che va dalla meno grave insufficienza al deficit severo. E la tendenza al ribasso riguarda tutti i paesi: un problema globale. Il picco di massa ossea, un tesoretto da accumulare in fretta. La carenza di vitamina D nella sua forma di deficit più estremo è la condizione responsabile del rachitismo carenziale, una patologia pediatrica storica, oggi rara, che deforma le ossa fino a provocare disabilità.

"La vitamina D è essenziale per la regolazione del metabolismo del calcio: fissa nelle ossa il minerale assunto dall'ambiente, ma questo processo avviene soprattutto nelle prime due decadi>>, spiega Giuseppe Saggese, coordinatore scientifico del Consensus "Vitamina D in età pediatrica", il recente documento destinato ai pediatri con le raccomandazioni per la prevenzione dell'ipovitaminosi D da 0 a 18 anni, il primo del genere, presentato oggi dalla Società italiana di pediatria   e dalla Società di pediatria preventiva e sociale, in collaborazione con la Federazione Medici Pediatri, Fimp.

"È intorno a 20 anni infatti che si raggiunge il picco di massa ossea: il valore massimo di mineralizzazione dell'osso - spiega Giuseppe Di Mauro, presidente Sipps - quindi tanto maggiore è il picco tanto minore è la probabilità di andare incontro all'osteoporosi nelle età successive della vita, soprattutto dopo la menopausa".

Ottenere un buon picco di massa ossea è quindi una cosa da ragazzi. Ma fondamentali sono: una "buona genetica", "sulla quale nulla possiamo fare", dice Saggese, un'adeguata assunzione di calcio e "i bambini e gli adolescenti consumano poco latte e latticini: con la dieta coprono forse il 50 per cento del fabbisogno giornaliero", l'attività fisica e, appunto, un sufficiente livello di vitamina D, che equivale a una concentrazione ematica maggiore o uguale a 30 nanogrammi per millilitro.

L'importanza dello stile di vita... e del sole. Solo il 10 per cento della vitamina D si assume con gli alimenti tutto il resto lo sintetizziamo noi stessi esponendoci alla radiazione solare UV a partire da un precursore presente nell'epidermide, il deidrocolesterolo. Non a caso un importante fattore di rischio di ipovitaminosi D è la ridotta esposizione al sole. "I bambini e gli adolescenti trascorrono un tempo eccessivo in ambienti chiusi, impegnati in attività sedentarie: pc, tablet... Dovrebbero stare di più all'aperto, basterebbe esporre gambe e braccia tre volte a settimana a mezz'ora di sole", avverte Saggese. Un altro fattore è l'obesità: la vitamina D è liposolubile e viene sequestrata nel tessuto adiposo, non riuscendo a raggiungere gli organi bersaglio "e un terzo della popolazione in età evolutiva in Italia è obeso/sovrappeso". La pigmentazione cutanea: "sono a maggior rischio i fototipi scuri, con una cute naturalmente più protetta dai raggi". Inoltre, l'utilizzo eccessivo e protratto di creme con filtri solari alti "in tanti casi basterebbe un fattore 15", o il coprirsi molto, "per ragioni culturali o religiosi o per abitudine". Poi la stagione e la latitudine fanno il resto: d'inverno di vitamina D se ne sintetizza pochissima per una questione di inclinazione dei raggi solari. Per la stessa ragione più ci si allontana dall'equatore meno la radiazione UV è efficace. Infine, le malattie croniche, che affliggono il 20 per cento dei bambini e dei ragazzi italiani (tabella in fondo, fattori di rischio) .
  
La vitamina D, oltre lo scheletro. "Nei primi due anni di vita la vitamina D è essenziale non soltanto per la sua attività sullo scheletro (parliamo di una fase di crescita rapida), ma anche perché interviene nello sviluppo del sistema immunitario intestinale, proteggendo il bambino dalle allergie", dichiara Giovanni Corsello, presidente Sip. A questo riguardo, diversi studi recenti suggeriscono che la vitamina D oltre alla funzione scheletrica svolge un'attività extrascheletrica. È stato osservato infatti che una concentrazione ottimale di D nell'infanzia si associa alla protezione da diverse malattie anche a distanza di tempo: dalle respiratorie, alle autoimmuni come diabete mellito di tipo 1 e morbo di Chron, dalla dermatite atopica alla sclerosi multipla... È il caso dunque di aggiungere vitamina D come supplemento alla dieta dell'età evolutiva? Se sì, in quali casi? "Il pediatra deve valutare, caso per caso e con buon senso", conclude Saggese. Riprende Corsello: "Oggi la tendenza è di supplementare i lattanti, anche quelli allattati al seno, che noi speriamo siano sempre più numerosi. Il latte materno è povero di vitamina D, e anche loro non raggiungono un livello adeguato di D". Una seconda fase critica è l'adolescenza quando le ossa sono ad accrescimento rapido, "supplementare o no dipende dallo stile di vita del ragazzo - avverte il presidente Sip - se non fa attività all'aria aperta, se non segue una dieta che prevede regolare assunzione di latte latticini yogurt, se fa uso abituale di tè caffè e alcol che interferiscono negativamente con l'assorbimento del calcio, potrebbe essere il caso".

Fonte http://www.repubblica.it/salute/prevenzione/2015/12/10/news/vitamina_d_carenza_ragazzi_bambini-129119247/?refresh_ce



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