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Prozac, Elly Lilly e British Medical Journal: Quanti segreti

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Notizie ambigue sugli antidepressivi

Il British Medical Journal si scusa pubblicamente per aver pubblicato, lo scorso primo gennaio, un articolo in cui accusava la casa farmaceutica produttrice di un noto farmaco antidepressivo a base di fluoxetina di averne nascosto per anni alcuni dati inerenti agli effetti collaterali. La casa farmaceutica accetta le scuse e tutto sembra risolto. Sembra.

Un errore, un caso di incomprensione dovuto ad una fonte sbagliata; la solita diffidenza nei confronti delle case farmaceutiche (davvero a pensar male non si sbaglia mai?); la tentazione di fare uno scoop a danno di un’azienda che sostiene di avere una politica trasparente; un’accusa aperta contro la Food and Drug Administration (FDA) la cui autonomia e indipendenza nelle scelte viene sempre più spesso, messa in discussione. Giudicate voi.

Il primo gennaio il British Medical Journal dedica un’intera pagina delle News ad un miniscoop: la redazione ha ricevuto da un anonimo dei documenti riguardanti i primi studi sulla fluoxetina e in particolari sugli effetti collaterali di questo farmaco. L’illazione del BMJ è che questi dati siano scomparsi dai fascicoli riguardanti le proprietà del farmaco, nel 1994, in occasione del processo a Joseph Wesbecker, un uomo che compì una strage, uccidendo 8 persone e ferendone altre 12, mentre era in cura con quello psicofarmaco. Secondo questi dati, in circa il 19 per cento dei pazienti inclusi negli studi che hanno portato all’approvazione del farmaco si sono manifestati effetti collaterali quali importanti disturbi comportamentali che, in alcuni casi, sono sfociati in atti estremi come il suicidio o l’omicidio.

Il BMJ ha intervistato Peter Breggin, il medico che ha fatto la perizia nel caso Wesbecker; quest’ultimo ha manifestato la preoccupazione (o il sospetto?) che la fluoxetina potesse indurre a comportamenti violenti su se e sugli altri. Richard Kapit, il medico che si è occupato della revisione degli studi che hanno preceduto la commercializzazione del farmaco, ha affermato che “se la commissione avesse avuto sentore che mancassero dei dati a completare lo studio, l’atteggiamento sarebbe stato diverso. Oggi ritengo che gli effetti collaterali della fluoxetina siano più gravi di quanto allora pensassi”. La dichiarazione di Kapit è stata rilasciata a caldo e, evidentemente, dava per scontato che i dati in mano alla redazione del BMJ fossero attendibili. L’azienda farmaceutica, interpellata dalla redazione, non ha rilasciato alcuna dichiarazione.

La notizia è stata ripresa da molti giornali italiani perché ha tutte le connotazioni dello scoop alla Erin Brockovich. Poteva esserlo, ma non lo è stato. Il BMJ chiede scusa a sole quattro settimane di distanza. Un caso è stato montato e smontato in poco tempo. Ma, mentre molta stampa ha titolato e gridato allo scandalo ai danni del malato, nessuno ha riportato la smentita. Soprattutto, nessuno si è chiesto come un fatto del genere sia potuto accadere; come mai una rivista così importante non si sia preoccupata di verificare le sue fonti, non si sia preoccupata dell’impatto che una notizia del genere poteva avere sul pubblico. Sarebbe bastato telefonare a qualche esperto per verificare fino a che punto una notizia del genere fosse attendibile e, se anche lo fosse, circostanziarla con dati che non fossero solo una percentuale avulsa e scollegata da qualunque studio.

Non si tratta di stabilire chi sono i buoni e i cattivi. Però è curioso che tra una rivista di riferimento in medicina, una importante industria farmaceutica e la FDA si sia sviluppata la stessa dinamica che si stabilisce in un gruppo di bambini che hanno rubato le caramelle. Il risultato è che alla fine tutto sembra ritornare a posto. Sembra. Tranne per il fatto che nessuno sa come siano andate veramente le cose, nessuno sa se, a danno della salute dei pazienti, dati importanti siano stati nascosti o se l’ennesima bufala giornalistica abbia creato, dal nulla, un caso inesistente. In aggiunta nulla può nuocere all’attività di farmacovigilanza come il proliferare di “falsi allarmi” che potrebbero abbassare l’attenzione nei confronti degli effetti indesiderati dei farmaci da parte dei medici, dei farmacisti e dei cittadini.

Emanuela Grasso
lunedì 31 gennaio 2005,
Il Pensiero Scientifico Editore



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