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Sanità Marche, per i medicinali facili l'ex direttore dell'Ars sotto processo

di Maria Cristina Benedetti

ANCONA - Prescrivevano farmaci in cambio di regali d’ogni genere: viaggi, notebook, gioielli e contributi alle associazioni. Medici senza scrupoli e informatori scientifici che non si fermavano neppure di fronte ai più piccoli: nel tariffario per piazzare ormoni in eccesso, secondo le accuse, ogni nuovo bambino valeva mille euro. L’ennesimo scandalo, che coinvolge e travolge anche il sistema regionale, è arrivato all’epilogo giudiziario poco più di un mese fa, il 12 aprile, quando sono giunti a destinazione i 37 rinvii a giudizio, cinque dei quali proprio nelle Marche: un informatore farmaceutico e quattro medici, tra i quali anche l’ex direttore dell’Agenzia regionale della sanità (Ars), il maceratese Enrico Bordoni uscito di scena appena una settimana fa.
  

I farmaci

Per tutti l’obiettivo sarebbe stato quello di piazzare a ogni costo due farmaci: l’Omnitrope, contenente il principio attivo somatropina, utilizzato per curare i bimbi con un deficit dell’ormone della crescita; e il Binocrit che replica l’eritropoietina umana e stimola la produzione di globuli rossi. Firmate dalla Sandoz, del gruppo Novartis, uno dei leader globali nella produzione e commercializzazione dei medicinali equivalenti, quelle sostanze erano la linfa d’un traffico che ha coinvolto quindici regioni: a scoperchiare quell’impianto di corruzione che s’era insinuato nei gangli del servizio sanitario nazionale, tra il 2008 e il 2009, sono stati i carabinieri del Nas. Un caso tira l'altro: i Nuclei antisofisticazioni dell’Arma erano, dal 2008, sulle tracce di un fenomeno di doping e durante quelle indagini s’accorsero di una serie di comportamenti poco chiari tra informatori della Sandoz e medici professionisti, tra i quali alcuni pediatri. Iniziarono a cedere le fondamenta d’un sistema che dal prossimo 29 settembre verrà vivisezionato nello spazio di un processo.

Il dirigente marchigiano
Scandalo nello scandalo. Tra quei 37 indagati c’è anche il maceratese Enrico Bordoni, ex primario nefrologo all’Inrca ma soprattutto ex direttore dell’Ars: su quella poltrona conquistata il 27 gennaio del 2014 è rimasto, indisturbato, fino allo scorso 11 maggio. Dal Palazzo della Regione quel mercoledì pomeriggio l’ufficialità raccontata era al netto dello schiaffo giudiziario: dimissioni volontarie, spontanee. Un arrivederci e grazie, a onor del vero, troppo affrettato per convincere davvero: poche ore prima del congedo s’era riunita la commissione sanitaria regionale e nulla era trapelato. Nulla, come per i tre passaggi propedeutici al rinvio a giudizio che a fine settembre costringerà Bordoni in un’aula di tribunale: apertura inchiesta, avviso di garanzia e rinvio a giudizio. Nulla su quelle accuse incise a pagina 11 del decreto - a firma del tribunale di Busto Arsizio - che dispone il giudizio. Allora, al momento del «disegno criminoso» finito negli ingranaggi della giustizia, il manager era ancora un camice bianco: medico chirurgo con il ruolo di direttore dell’Unità operativa centralizzata di nefrologia e dialisi dell’ospedale di Fabriano. Forte della sua competenza, Bordoni «al fine di incrementare le vendite della specialità Binocrit», secondo il capo d’imputazione, «inseriva in terapia con tale farmaco quattordici nuovi pazienti». Seguendo il principio che ha ispirato l’inchiesta interregionale, «io do affinché tu dia», l’ex direttore Ars avrebbe ricevuto in cambio «3.000 euro, sotto forma di finanziamento per il congresso scientifico organizzato nell’ottobre del 2009» e «6.000 euro sotto forma di contributo liberale a favore dell’Unità operativa di appartenenza». Do ut des, appunto. Immediata la replica con tanto di difesa sul campo. Bordoni respinge tutto al mittente: mai intascato un euro e tantomeno favorito la Sandoz. I 6.000 euro erano davvero per l’ospedale e i 3.000 per il convegno. Punto.

L’associazione
Ad agire sarebbe stata una vera e propria associazione, con un obiettivo preciso. Incontrovertibile, secondo l’accusa: «Favorire l’incremento illecito e fraudolento delle prescrizioni di Omnitrope e Binocrit» in alcuni casi addirittura «in dosaggi superiori alla posologia autorizzata». A sborsare quelle cifre a Bordoni, per esempio, sarebbero stati, in concorso tra loro: Gianfranco De Bernardi e Giorgio Oronti, rispettivamente direttore generale e direttore commerciale della divisione biofarmaci della Sandoz; Alberto Coraducci, capo area della stessa divisione e Daniela Merlanti, informatore scientifico del farmaco, sempre dipendente Sandoz, nata ad Arezzo ma residente a Senigallia. I quattro di quell’associazione, ognuno col proprio ruolo, avrebbero puntato a «ottenere il raggiungimento degli obiettivi aziendali indicati dalla Sandoz e la corresponsione di incrementi stipendiali, provvigioni e premi produzione». Un traguardo sconfessato dalla multinazionale del farmaco che ha risposto all’inchiesta della Procura di Busto Arsizio con una raffica di licenziamenti.

Gli altri marchigiani
In questa storia, torrida, di farmaci troppo facili le Marche hanno altre tre pendenze. Il prossimo 29 settembre dovranno tentare di respingere, in aula, le stesse accuse altri tre medici: Edoardo Bartolotta, nato a Siracusa, che all’epoca dei fatti era il direttore dell’unità operativa di pediatria dell’ospedale di Recanati; Patrizia Borrelli, nata ad Ascoli ma residente nella Capitale, un passato presso l’ospedale Bambin Gesù di Roma, un presente da pediatra libera professionista; e Fernando Maria De Benedictis, originario di Vittorino ma residente ad Ancona, finito nel mirino in qualità di medico pediatra, direttore del reparto di pediatria del Salesi. Anche in questi casi stessi farmaci e stessi meccanismi. E tra le righe del dispositivo di rinvio a giudizio spuntano pure un viaggio pagato a New York per partecipare a un congresso scientifico e la promessa di un soggiorno per due a Sharm el Sheik. Do ut des, appunto.
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