Article reference: http://www.laleva.org/it/2005/05/la_politica_agricola_la_chimica_e_la_medicina_-_fumo_e_distrazione.html

La politica agricola, la chimica e la medicina - fumo e distrazione

Fumare fa male - un coro di consensi con pochi che osano a dire il contrario, oppure solo ad opporsi ai nuovi proibizionismi.

Difatti, la nostra salute non è dei migliori, ma è veramente il fumo il colpevole di tutto?

Silvano Borruso, insegnante nello Strathmore College in Kenia dice di no. Le sue ricerche vanno un po' più in profondità - alle radici di quello che chiamiamo l'agricoltura moderna, una macchina di produzione del cibo che spesso di nutriente non ha gran ché. Ed alle radici della medicina - quella che ci insegna che bisogna distruggere tutti i batteri, di farne piazza pulita. E che di prevenzione tace. Il problema è che non siamo più sani di prima - anzi sempre più deboli.

Seguite Silvano nel suo viaggio di scoperta...

DOVE C’È FUMO, LA’ TROVERETE ME - DISSE COMPARE FUOCO

Lo disse ai suoi compari Acqua e Onore. Ho preso la frase da una favola di La Fontaine (1621-95)

Febbraio 2005

Mi trovavo in Italia quando entrava in forza la legge Sirchia contro il fumo nei locali pubblici. Mi sembrava vedere Nerone redivivo che suonava il violino mentre Roma stava bruciando. Perchè la baracca della salute è in fiamme. Da più di un secolo vi divampa un incendio di ben altro tenore che quello delle punte incandescenti delle sigarette.

Malnutrizione

Ad appiccare il fuoco fu Herr Justus von Liebig (1803-73) circa un secolo e mezzo fa. Il buon barone scoprì che le piante non si nutrivano di humus, come si credeva fino ad allora, ma di sali minerali. Il che è vero, ma da ciò non segue che l’humus non abbia alcun ruolo da svolgere nella nutrizione delle radici.

Le conseguenze di quella svista furono esiziali. Liebig non si accorse che il cosiddetto “humus” non è “materia morta insolubile in acqua” come i suoi esperimenti sembravano rivelare, ma un substrato vivo: la microflora del suolo. Se ne avesse misurato la quantità, si sarebbe accorto che un ettaro di terra possiede ben 100 tonnellate di humus, con miriadi di microorganismi la cui analisi è lungi dall’esser completa. Questi, con diverse capacità selettive, estraggono i minerali dal suolo e li convogliano alle radici nei tempi e modi dettati dalla natura. Il sistema radicale si beneficia quindi per primo, divenendo profondo, robusto e immune da attacchi della maggior parte dei parassiti. Dopo ciò la pianta germoglia rigogliosa, avendo avuto tempo e modo di sintetizzare tutto un assortimento di nutrienti perfettamente adatti a sostenere la salute di esseri umani e di animali.

Gli agricoltori pertanto sapevano, anche se non glie l’aveva insegnato nessuno, che l’unica pratica sensata era quella di nutrire quella microflora con stallatico mescolato a residui vegetali e fatto fermentare in apposite gabbie. Era un lavoro lungo e duro, ma che sapori! Le pere erano tenere e dolcissime. Le albicocche facevano venire l’acquolina in bocca solo a sentirne il profumo. Ogni verdura aveva il suo sapore. I polli sapevano di pollo, ed erano una leccornia da tavola del re. E mangiando bene, si stava bene. Chi stava male lo doveva più ai vizi e alle cattive abitudini che al cibo in sé, il quale conteneva tutto il necessario per mantenere la salute.

Justus von Liebig si accorse del suo errore e rettificò, ma troppo tardi. I fertilizzanti inorganici cominciavano a far strage della microflora del suolo.

Poco dopo la morte di Liebig un ingegnere ungherese, certo Hoffenberger, inventava e commercializzava il mulino a dischi piani. Questo non solo separava amido, crusca e germe, ma anche consentiva la produzione di quantità enormi di macinato, così bolscevizzando l’industria dalle mani di molti mugnai piccoli e “inefficienti” a pochi grandi ed “efficienti”. Ora, vendendo i tre componenti separatamente si ottenevano proventi straordinari e inattesi, ma chi mangiava il pane così prodotto si accorgeva di non estrarne più la resistenza di prima. Il carcere duro a pane e acqua, adesso, avrebbe fatto morire un detenuto di inanizione. Neanche gli insetti si avvicinavano più a una farina di amido puro. Per cui bisognava “migliorare” il gusto del pane con ingredienti completamente estranei al chicco di frumento. I quali lo fanno, ma senza migliorarne la qualità.

La Grande Guerra segnò la fine dell’uso del nitrato del Cile. Con la liquefazione e distillazione dell’azoto atmosferico si fabbricarono i primi potenti esplosivi che seminarono morte e distruzione durante i quattro anni di carneficina. E che fare di tali esplosivi a guerra finita? Fertilizzanti, naturalmente. Così l’industria poteva continuare a distribuire “lauti dividendi” ai suoi azionisti. Che la gente stesse sempre peggio, azionisti inclusi, non importava.

L’allarme avrebbe dovuto darlo la fredda cifra statistica, del 1942, che i riformati alla leva militare americana superavano quelli della Grande Guerra del 14%. Contemporaneamente, le piccole (allora) case farmaceutiche si accorgevano che le vendite aumentavano, e con esse i profitti, e con essi i dividendi degli azionisti. Già negli anni 1950 queste distribuivano campioni gratuiti ai medici, accompagnati da opuscoli rassicuranti e lodanti i “prodotti” di quella che sarebbe presto divenuta un’industria con giri di miliardi. Ma cos’erano codesti “prodotti”? Nient’altro che sostanze chimiche controbilancianti l’effetto deleterio della sottonutrizione permanente, sopprimendone i sintomi.

Però un sintomo soppresso oggi riappare, apparentemente diverso, domani, e ci vuole un altro “prodotto” per farlo scomparire (e farne apparire un terzo) e così via. Non ci vuol molto per vedere che pacchia tutto ciò rappresenti per le grandi case farmaceutiche, i cui giri di miliardi si basano su siffatti tentativi di raggirare Madre Natura. Ma questa è avvezza a non perdonare: gli effetti collaterali di sostanze sintetiche il più delle volte non colpiscono solo il portafoglio del ‘paziente’ (conobbi una signora che prendeva ben 12 pillole diverse al giorno) ma a volte si ritorcono contro quello dei loro fabbricanti quando questi prendono granchi, dalla talidomide degli anni 1950 (le cui vittime si aggirano oggi attorno ai 50 anni) al Vioxx dei nostri giorni, che ha mietuto vittime in quantità tale da farlo ritirare dalla circolazione.

L’uso di fertilizzanti chimici, imposto massicciamente agli agricoltori americani dalla politica dei Rockefeller a partire dagli anni 1950, ha spezzato il ciclo dello zolfo, così eliminando, specialmente dai latticini, ingredienti essenziali per la salute. La sola Finlandia ha riconosciuto il pericolo, proibendo l’uso di codesti concimi artificiali.

Molti agricoltori farebbero volentieri uso del letame, ma la direzione intrapresa dall’industria zootecnica lo rende spesso introvabile. Non è che un suggerimento, ma la produzione di concime organico naturale potrebbe benissimo essere servizio pubblico municipale, offerto a prezzo di costo.


Medice, cura teipsum

Come la professione medica tiri avanti con un carrozzone di codesta portata è storia lunga, che però vale la pena raccontare, anche se stringatamente.

Alla base stanno due granchi filosofici, che continuano a passare inosservati data non solo l’ignoranza diffusa in tale materia, ma anche e soprattutto dato il corrente minimizzo, per non dire disprezzo, della realtà dei fatti.

Il primo granchio lo prese Descartes. Il buon René (1594-1650) decretò che il corpo di un vivente non è che una macchina. Ne segue che i corpi degli individui di una stessa specie sono gli stessi, e che un certo guasto va curato nella stessa maniera dovunque esso appare. La malattia acquista così posizione di essere. Le facoltà di medicina sfoggiano cattedre di ‘patologia’ con elenchi interminabili di ‘malattie’, e gli scopritori di una ‘malattia’ non esitano a decorarla con il loro nome (Alzheimer, Crohn, ecc.), come se fosse un trofeo.

Che esista una facoltà di medicina dove si insegna a definire la salute e a percepirne i sintomi, non mi è dato saperlo. Ogni medico da me interpellato non se ne era mai posto il problema.

Ma la natura non la si prende in giro. Essa ha decretato che l’essere umano è composto di materia e di spirito, e che la salute altro non è che ordine: dei due e tra i due. Quando codesto ordine per qualunque ragione si incrina o va perduto, uno o più sintomi di salute spariscono. E’ l’ora di prendere rimedi, omettendo i quali arriva inesorabile la malattia. Non per nulla si continua a chiamare le malattie ‘disordini’ nonostante Descartes. E non è affatto detto, dalla natura, che un dato sintomo debba essere di un dato disordine: data l’immensa complessità dell’essere umano, a una stessa causa possono corrispondere sintomi diversi in individui diversi, così come a diverse cause può seguire uno stesso sintomo in individui diversi. Ecco perchè molte volte i medici non ci azzeccano, nonostante tutta la buona volontà.

Chi l’aveva azzeccata, in principio e metodo, era stato Ippocrate (c. 460-377 a.C.): “la malattia è il risultato di un alterato metabolismo, i cui prodotti tossici vengono trattenuti, anzichè espulsi come dovrebbero, dal corpo. Basta quindi stimolare i grandi emuntori: intestino, reni, polmoni e pelle, perchè la vis curativa del corpo risponda espellendo le tossine”. E si ha la cura, aveva detto.

La ‘modernità’ abbandonò Ippocrate per seguire Teofrasto Bombasto (Paracelso, 1493-1541), che fu il primo a sviare l’attenzione della scienza medica dalle cause ai sintomi, e anche il primo a proporre sostanze inorganiche come ‘rimedi’ delle malattie. Si può dire che l’industria farmaceutica moderna sia fondata sulle asserzioni di un medicastro che morì a 49 anni ucciso da un intruglio che credeva essere “infallibile rimedio”.

A riprendere il metodo e il principio ippocratici in Italia fu Carlo Arnaldi (1860-1924) nella sua “Colonia della Salute” del 1906. Ma nel 1906 si mangiava ancora bene, per cui Ippocrate teneva ancora banco. Oggi, perchè principio e metodo funzionino, c’è prima bisogno di restituire al cibo i principî nutritivi che un’agricoltura di rapina sospinta dall’usura gli ha tolto.

Se la medicina moderna non vuol saperne di Ippocrate (‘giuramento’ a parte), si deve a un secondo granchio, questa volta preso nientemeno che da Pasteur (1822-95), persona ineccepibile sotto tutti i punti di vista eccetto quello filosofico, che glie lo impedisce. Avendo notato che a una determinata ‘malattia’ (del suo tempo) si associava un determinato micro-organismo, Pasteur presunse che questi ultimi fossero la ‘causa’ della prima. Una conoscenza superficiale (ma tomista) dell’essere permette di vedere che un essere organico come un micro-organismo di qualsiasi tipo, non può causare un male, un disordine, che alla fin fine è un non-essere. Ma non si curano le malattie ‘infettive’ facendo piazza pulita dei ‘parassiti’? A volte sì, a volte no. Quando ciò accade, non si è eliminata la ‘causa’ della malattia. Si è eliminato il suo effetto più eclatante, cioè l’apparire di certi microorganismi che prosperano in un ambiente menomato dal disordine. L’organismo, con un nemico in meno con cui contendere, ha una possibilità in più per recuperare. Quando ciò per una ragione o per un’altra non accade, è la fine.

Un’ulteriore ragione per cui la modernità schiva Ippocrate è che il suo metodo clinico richiede lunghe sedute accanto al paziente, polso tra le dita, a seguirne le funzioni vitali per ore, giorni, settimane. I proventi sono evidentemente modesti. Con giudiziose (e veloci) analisi di laboratorio, e prescrizioni adatte ai sintomi, molti pazienti si liberano dei sintomi, e in fretta. Costoro tirano avanti fino a un nuovo sintomo, che apparirà altrove, e con l’aumentare dei pazienti e dei sintomi aumentano anche i proventi dei dottori, e soprattutto dei produttori di farmaci.
Non si può negare il successo, anche se sui generis, della medicina moderna. La gente vive più a lungo (la signora sopracitata visse 92 anni). Ma il successo più notevole è quello della grande industria farmaceutica. Che di più desiderabile di una popolazione coatta e longeva dove quasi tutti stanno male?

Però vi sono sempre i guastafeste, in questo caso coloro che non si contentano di tirare avanti, ma vogliono stare bene. E da tempo si accorgono, costoro, che certi supplementi vitaminici e salmastri ottengono proprio la salute, che non è ‘assenza di malattia’ come malamente la si definisce (quando ancora lo si fa), ma l’ordine di tutte le funzioni del corpo, meglio se insieme a una salute spirituale di cui non è il caso di occuparci qui.

E così è venuta su l’industria dei supplementi alimentari, in auge durante l’ultimo trentennio del secolo scorso. Questa fornisce ai clienti quello che il suolo depresso da pratiche antinaturali non fornisce più.

Inutile dire che le due industrie si guardano in cagnesco. Per cui la prima ha fatto di tutto per indebolire, diffamare, sviare, tergiversare, controllare ecc., la seconda. L’ultimo atto di codesta guerra senza esclusione di colpi (incluso un silenzio stampa degno di miglior causa) ha avuto luogo in Lussemburgo il 25 gennaio 2005: un avvocato ha perorato la causa, per una succosa parcella di 250 000 sterline, dell’Alliance for Natural Health. Alla perorazione davanti alla Corte Europea di Giustizia erano presenti dei rappresentanti di Advocates for Health Freedom, cioè coloro che vogliono rimaner liberi di comprare vitamine, sali minerali ecc. nelle quantità che desiderano. La bête noire di costoro è il progetto legislativo, sia dell'Unione Europea che del Codex Alimentarius delle Nazioni Unite, i quali pretendono che questi generi alimentari vengano equiparati a ‘farmaci’ e pertanto sottoposti ai regolamenti burocratici draconiani di una pletora di funzionari anonimi e irresponsabili ai due lati dell’Atlantico. I sostenitori del Codex si difendono asserendo che il Codex non obbliga alcun governo. Il che è vero, ma non è il punto. Il punto è che se un governo decide di adottarlo (se liberamente, se sobornato da interessi farmaceutici o se costretto dalla WTO), i suoi cittadini verranno costretti ad acquistare supplementi alimentari contenenti le quantità decise dal Codex, semplicemente insufficienti a mantenere la salute. La causa è sub iudice al momento della stesura di questo scritto.


Il Bandolo della Matassa

Tutte queste informazioni giacevano negli anfratti della mia memoria, quando la frase di un amico, a proposito di tutt’altro discorso, mi colpì. Disse che faceva il commercialista per conto di una società agricola specializzata nella sterilizzazione del suolo. Solo la cintura di sicurezza mi impedì di balzare sul sedile dell’auto.

Sterilizzare il suolo! L’enormità della frase chiudeva il circolo pernicioso che da von Liebig passava per l’indebolimento dei raccolti, la loro mancanza di resistenza davanti a parassiti più o meno letali, alla manifattura di pesticidi potenti e velenosissimi, al loro lisciviamento nel suolo ulteriormente avvelenandolo, all’ulteriore indebolimento dei raccolti, così attaccati da parassiti sempre più resistenti, e alla eliminazione di questi ultimi con la sterilizzazione del suolo. Questo, ridotto a substrato puramente minerale, non alberga più i parassiti, è vero, però, come le colture idroponiche, produce raccolti che sono apparenze senza sostanza. Quella società specializzata andò a sterilizzare il suolo con il bromuro di metile, fino a quando qualcuno scoprì che codesto composto organico era velenoso (sfido io, capace com’è di far fuori 100 tonnellate di microorganismi per ettaro) così che ora stavano provando un’altra sostanza chimica il cui nome l’amico non ricordava (e va a sapere se non era altrettanto velenosa). Quando accennai allo stallatico e al trattamento organico del suolo, mi rispose che ormai quello non lo si faceva più, dato che era più facile (evidentemente) comprare il sacco di concime chimico dal distributore.
Di colpo tutto diveniva chiaro. Il bandolo della matassa mi permetteva di allineare tutta una serie di osservazioni che fino allora mi erano sembrate indipendenti. Le elenco qua sotto a cominciare dalle macroeconomiche.

• La politica agricola dell’EU. Si pagano i piccoli agricoltori (i poveretti sono “inefficienti”, no?) per non produrre, e si incoraggiano i grandi a produrre quantità smisurate (e costosissime da immagazzinare) di cibo che di tale non ha che il nome;

• La crescita spettacolare dell’industria del cancro, alla caccia di microorganismi fantasma supposti “cause” di quello che non sembra essere altro che un collasso del sistema immunitario aggravato da anni di deficienza alimentare; decenni di ricerche e sperimentazioni non riescono ad impedire che individui apparentemente sani e perfino atletici (viene in mente un Leonardo Mondadori) vengano improvvisamente afflitti da un dolorino qui, che diventa un tumorino più in là, e che porta alla tomba in un paio di anni;

• La sala d’aspetto di una clinica stipata di gente un giorno feriale; mai vista una folla tale. La cosa non sembrava affatto normale;

• La politica antifumo, da poco tempo a questa parte assurta a vera crociata. Il mio non è che un dubbio, ma perchè siamo diventati tanto sensibili al fumo proprio oggi, e non lo eravamo fino a 20 o 30 anni fa? Non potrebbe codesta sensibilità esser stata acuita dalla malnutrizione e inasprita da un eccesso di farmaci sintomatici (da parte di chi si ritiene danneggiato del fumo altrui)?

• Una mandria di bovini osservata durante un’escursione a piedi vicino a Capo Rama, nella Sicilia nord-occidentale. Mi avevano fatto impressione le loro corna storte, l’andare dinoccolato, le ossa sporgenti, e uno dei sintomi più chiari della perdita di salute: gli escrementi, neri e liquidi;

• La frutta insipida e il pane dolciastro (da edulcoranti artificiali) da Londra a Palermo (si salvavano le arance per onor del vero). La crusca invece si compra oggi in farmacia, come disinvoltamente assicurava il mio amico;

• Il fiume Belice che ingialliva il mare per un paio di miglia, mandandogli tonnellate su tonnellate di un suolo senza più struttura;

• E le masserie una volta fiorenti che ora si dedicano al mal chiamato “agroturismo” – ma sarebbe più corretto chiamarlo “turismo agro”, – fornendo vitto e alloggio a turisti di passaggio con cibo comprato al supermercato.

A queste osservazioni si aggiungevano ricordi dell’infanzia come il cerotto sulle ferite e il supposto cianuro nei semi di albicocca.

Uno di questi ricordi di molti decenni fa affiorò alla memoria: quel grosso maiale di razza Large Black con la groppa scalfita da canne maldestramente portate a spalla da una ragazza, che mia madre volle ‘disinfettare’ con alcol etilico. La bestia, trasformata instantaneamente da mansueto porcello in un quasi cinghiale, si mise a caricare tutti i presenti tra i grugniti più inferociti e le urla di chi ne veniva travolto.

Fu la vita a insegnarmi che una ferita pulita ed esposta all’ossigeno atmosferico ne fa ristagnare il sangue instantaneamente (se un po’ profonda la si fa chiudere in cinque minuti congiungendone le labbra con le dita) mentre il cerotto ne allunga la guarigione; e fu Internet a farmi sapere che il cianuro nei semi di albicocca è una balla messa in giro per impedire che si sappia che, come per tutte le Rosacee, codesti semi contengono potenti sostanze anticancro, così come le contengono i semi di lino e la manioca).

Perchè continuare? Esiste una via di uscita da tale labirinto?


Agibilia et Agenda

Esistendo un indissolubile legame naturale tra agricoltura e sanità, sarebbe desiderabile che lo stesso legame esistesse a tutti i livelli, compreso quello politico. Idealmente, i due ministeri omonimi dovrebbero amalgamarsi. Meno idealmente, un esperto di agricoltura potrebbe far da sottosegretario al ministro della Sanità, e un medico esperimentato a quello dell’Agricoltura. Ma ciò non è che utopia. Burocrazia a parte, cosa può fare la gente ordinaria?

• Educarsi. Saper definire la salute e percepirne i sette sintomi: l’appetito, il sonno, l’urina, le feci, la resistenza alle infezioni, la chiusura delle ferite e la forma fisica.

• Nutrirsi, che è ben più che “mangiare”. Informarsi dove esistono ancora agricoltori che non si sono lasciati abbindolare dalle sirene del debito e dei concimi chimici, che praticano la rotazione dei raccolti e degli animali, e che sgobbano per preparare lo stallatico come natura vuole. I sintomi di salute di un’azienda agricola sono la multicoltura, la gabbia di fermentazione dello stallatico, la struttura del suolo (che fa i cosiddetti “grumi”) e l’odore che se ne sprigiona dopo una pioggerella anche leggera.

• Trovata l’azienda che produce organicamente, pagarne i frutti secondo giustizia: è iniquo che ortaggi pagati a € 0,06 il chilo all’origine vengano venduti a €1,20 al mercato, e per giunta mischiando quelli organici con quelli prodotti da pratiche antinaturali. Il frumento d’annata prodotto biologicamente vale il suo peso in oro.

• Fare il pane a casa a partire da quel frumento. Con un macina-caffè (heavy duty naturalmente) e un’impastatrice elettrici è un gioco da ragazzi. Prima di cena si macina il grano nella quantità richiesta con il primo. Lo si mischia al lievito di birra e durante la cena lo si fa impastare (con acqua salata da cloruro di potassio, non di sodio) dalla seconda. Dopo cena lo si mette nel forno spento a lievitare durante la notte. All’alzarsi lo si riduce in pagnotte, se ne conserva un po’ come lievito per il giorno seguente e si inforna. Il tempo di cottura è direttamente proporzionale alle dimensioni delle pagnotte. E si fa colazione con pane fragrante di forno. Non c’è manicaretto più prelibato o ‘farmaco’ più salutare.

• Non farsi impaurire. Diceva H.L.Mencken (1880-1956) che “l’arte di governare consiste nel mantenere il volgo in permanente stato d’allarme e pertanto ansioso di venir tratto in salvo, minacciandolo con una serie interminabile di spauracchi completamente immaginari”.

E’ arrivata l’ora, forse, di smentire Mencken una volta per tutte.

Silvano Borruso
silbor@strathmore.ac.ke
5 Febbraio 2005